White&White Dialogue betwen Korea and Italy

National Museum of Contemporary Art, Korea e Vittoria Biasi
presentano

White & White nel dialogo tra Corea e Italia

ROMA, Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese Testo di Vittoria Biasi
L’esposizione White & White nel dialogo tra Corea e Italia propone una convergenza sul niveo colore e sulle sue creatività. Come sul finire degli anni ’50, opere e mostre bianche sembrano dividere il mondo, gli eventi e i linguaggi in un prima e un dopo, così l’esposizione White & White nel dialogo tra Corea e Italia segna uno spazio di ricognizione per due culture sulla soglia di profondi cambiamenti. La mostra avvia una riflessione sul differente valore storico-artistico di avanguardia occidentale in rapporto alla filosofia, alla figurazione, allo spazio della cultura coreana. Per gli studiosi d’arte coreani, i movimenti artistici occidentali e giapponesi degli anni ‘50 e ’60 hanno influenzato la pittura monocroma del bianco sviluppatasi in Corea negli anni ’70 e la sua estetica, tipica della tradizione coreana.




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White&white
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Gli artisti coreani, attraverso l’arte occidentale, hanno recuperato la loro storia. La mostra White & White nel dialogo tra Corea e Italia svela relazioni con l’arte povera italiana, con il minimalismo americano e il Mono-ha giapponese. PAOLO RADI, Vuoto in sospensione, 2013 cm 100X150 La ricerca dell’anima celata nell’opera di Dongwan Kook, la collocazione di oggetti, come feticci di un culto, sono vicini alla poetica di Bohnchang Koo, di Cristiana Palandri, di Man-Lin Choi e si pongono in dialogo con il mondo delle stelle decapitate, con l’aspetto reale, trafitto della condizione umana, come nell’opera di Franco Ionda. La sacralità della materia di Ionda è vicina alla sacralità dello spazio di Insu Choi. La scultura di In-Kyum Kim con la rappresentazione lunare delle forme possibili dello spazio, l’ingresso silenzioso, a piccoli passi nella materialità dell’anima come nelle sculture di Kwang-Ho Jeong declinano il rapporto con la creatività o con l’esserci e con l’agire nello spazio espresso dalle opere di Insu Choi o dal filo di fibra ottica di Carlo Bernardini che traccia una possibilità di individuazione dello spazio o di disegno nel vuoto. Paolo Di Capua incide segni nella materia, rivelazioni di trame profonde che pone in dialogo con il bianco, suggello di una ritualità, di un modello di vita. Le scritture di Oan Kyu attraversano la pagina come racconti minimi in successione continua. Il concetto di tempo poeticamente esteso riunisce le opere di Oan Kyu, di San-Keum Koh, di Stato di famiglia che include nell’opera il concetto di segmento temporale comune per trascrivere lo spartito di John Cage. Le opere in mostra di Licia Galizia/Michelangelo Lupone, Dae Hun Kwon, Fabrizio Corneli, Min-Ha Yang fanno smarrire il confine dell’avanguardia nella scienza. Fabrizio Corneli, Dae-Hun Kwon declinano l’ombra tra la progettualità e le leggi scientifiche della luce. Le opere di Min-Ha Yang e Licia Galizia/Michelangelo Lupone si relazionano con l’ambiente, con le sue presenze, vibrazioni che divengono movimento, calligrafia chiaroscurale per l’artista coreano e ritorno musicale per gli artisti italiani. La ricerca dell’irraggiungibile accomuna le poetiche di San-Keum Koh, Shin Il Kim e Paolo Radi: gli artisti si confrontano con la profondità che brilla sul fondo insondabile, dove risiede la luce, da cui nascono i sogni, contenuti di vite. Seo-Bo Park, Dong-Youb Lee, Chang-Sup Ghung, Shin Il Kim, Young Wo Kwon instaurano un rapporto particolare con la superficie, vissuta nella diverse possibilità espressive, su cui il pensiero antico, buddhista ha potuto incontrare i linguaggi occidentali, come Emanuela Fiorelli costruisce un ritmo matematico visivo sulla tarlatana. La figura a cui la mostra affida il compito di congiunzioni di mondi, tempi e lingue è Nam-June Paik. La sua linea bianca, zen è vicina al taglio di Lucio Fontana e alle ultime ricerche artistiche presenti in mostra. Vittoria Biasi Storica dell’arte, critico e curatrice internazionale