Matteo Galbiati: Paolo Radi Oltre la pittura: presenza tra materia e luce
Sono pochi quegli artisti che, oggi, in un mondo in cui la dispersione e la superficialità sono dilaganti – anche in ambito artistico – riescono a salvaguardare e proteggere l’integrità della propria storia con la volontà di una coerenza che non si piega a compromessi. La cultura artistica di oggi ha la necessità – che è un dovere per chi vi opera a qualunque livello – di ritrovare uno stato di ordine all’interno del suo sistema. Si deve ripensare alle scelte e alle proposte degli artisti alla luce del loro valore intrinseco e peculiare rispetto a poetiche che si fanno vera e propria sperimentazione e ricerche nella continuità di ciascun esito conseguito. Abbiamo urgenza di ritrovare quel valore sostanziale che l’arte ha da sempre proposto nello sviluppo di un pensiero che si fa riflessione senza tempo. Non tutti gli artisti, magari ora tanto in voga e – termine orrendo quasi scurrile parlando di arte – alla moda, saranno consegnati alla storia per questo. Non tutti lasciano quel segno indelebile che emoziona e si fa voce narrante per sempre.
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Il giudizio del tempo – per nostra fortuna – è molto meno clemente di quello di un gusto a temporalità ridotta o di un gradimento a scadenza. Bisogna trovare quindi la forza e la capacità critica per riportare, con severità, un ordine coscienzioso nei linguaggi e nelle poetiche dell’arte attuale e, evitando scelte aprioristiche o senza cadere nelle trappole di compromessi pregiudizievoli, riappropriarci della forza vera della poesia. Protagonista della nuova e matura generazione di artisti italiani è Paolo Radi che ha dato prova di una continuità che non si è mai bloccata sulla trovata compiacente ma ha perseguito infaticabilmente la scia di un’intuizione particolare e sensibilissima che, attenta al corso della storia e similmente presente al proprio tempo, sposta sempre oltre e in avanti la progressione del proprio fare e ricercare.
La storia artistica di Paolo Radi, di cui questa mostra ripercorre il cammino negli anni tra il 2005 e il 2011, va proprio in questo senso, segue un’etica di responsabilità e un’estetica che si accompagna ad un pensiero calibrato e meditato: l’insieme delle sue opere, pur offrendoci la visione di ripensamenti e cambiamenti, di evoluzioni e sviluppi, risultati e conquste successivi, costituisce un esempio di indiscutibile concentrazione. Le sue opere sono capitoli di una lirica meditata e sentita, tracce sensibili di un indagare severo e intenso che non si è arenato mai nelle aride secche della soddisfazione auto-referenziale. È un artista che vive con rigore e serietà la sua vocazione all’arte e questa responsabilità viene trascritta anche in ciascuno di questi suoi lavori. Radi ha affermato il suo talento e le sue qualità artistiche nel panorama della nuova generazione, diventandone un protagonista di assoluto rilevo, proprio attraverso un lavoro fondato su un’applicazione peculiare che ha portato ad un’espressione vivacemente individuale, caratteristica nel suo esito, senza mai bloccarsi su una ripetizione sfibrata e consunta di modelli precedenti. Il suo lavoro si presenta come esempio di maturità conseguita, aggiornata e perfezionata nel suo divenire ed è testimonianza presente e attualissima di come l’arte di oggi possa ancora insegnare, meravigliare e stupire nel profondo la nostra sensibilità. Una ricerca che fa e si fa nella storia. Quella vera.
Radi rimane fedele interprete di un’astrazione aniconica di matrice analitica, in cui l’immagine figurale, non più indispensabile, diventa una presenza latente, criptata nella dissolvenza di trasparenze e atmosfere cangianti, unici agenti di senso che si relazionano con lo sguardo di chi osserva. La pratica della sua ricerca conduce lo sguardo agli strati profondi del vedere, impegnandolo in una riflessione che si addentra oltre i livelli dello stesso visibile. La sua autentica forza sta proprio nell’impegnare – una volta conquistata – la mente a percepire la realtà e la sua memoria con una sensorialità differente. Ridefinisce e riconfigura l’assetto di un sistema percettivo, stimolando istintivamente intuizioni diverse, ed inesplorate.
Senza mai tradire l’orientamento del proprio sentire, l’identità artistica di Radi si afferma attraverso una poetica in cui le sostanze restituiscono presenze ed effetti che superano la loro stessa natura. Si manifestano equilibri e brillantezze, sospensioni e dilatazioni, in cui si accolgono e compongono evanescenti – o emergenti – sfumature lucenti e opalescenti di un colore che unisce in un tutt’uno l’effimero della luce e il concreto della materia.
Sono queste tre – pittura, materia e luce – le coordinate essenziali, la base strutturante, su cui si muove l’intensità comunicativa di queste suggestive opere. Il loro insieme generale, peculiare però nelle singole prerogative, concorre a comporre quell’architettura dell’in-visibile propria del suo linguaggio e della sua ricerca.
La Pittura
Le sue opere rompono tutti gli schemi stabiliti e, con la leggerezza che le contraddistingue e che ne denota la tensione, controllata ma energica, vitale ma mai ridondante o eccessiva, alterano ogni equilibrio atteso. Dissestano innanzitutto gli assetti della pittura tradizionale che, salvaguardata e preservata nella forma apparente, si rappresenta in forme e sostanze inusuali e anticonvenzionali, ma coerentemente ricondotte negli esiti che si vogliono perseguire. Una pittura non pittorica quella di Radi, che lascia in secondo piano il segno e la gestualità, per avvantaggiare la percezione e la suggestione. Tutto si intreccia e le rispondenze del visibile si ibridano. La materia si affievolisce e si fa evanescente, dispersa in una mescolanza, a stento trattenuta, di colore e luce, che sparisce e riappare nella trasparenza di un riverbero catalizzante.
Pur rimanendo formalmente potenzialità vitali in divenire costante, le immagini di Radi paiono percepire uno stato di distorsione antecedente, come se l’opera stesse ripetendo un ciclo di trasformazioni imprevedibili e incontrollabili. Senza mai cedere all’enfasi del decoro, Radi le plasma e le attiva fino a renderle meccanismi visivi, contenitori armonici che ripetono, in una variazione musicalmente differente, il mordente di un’essenza metamorfica. Ogni suo lavoro svela quella ciclicità misteriosa: è la silente evoluzione dei fenomeni legati all’invisibile della pittura. Sono le dinamiche che portano all’atto germinante, alla genesi primaria, di ogni raffigurazione. Muovendosi da un macro ad un microcosmo, Radi sonda ed indaga il verificarsi stesso della pittura quale evento fenomenico, del quale, una volta presa coscienza della sua essenza, cerca di lasciarne una suggestiva traccia il cui termine ultimo e la definizione esatta si avrà solo nell’istante e nel dove della visione. In questo modo modella e configura ogni opera, infondendole una forza che la muta in cassa di risonanza visiva per quei processi ineludibili che si pongono quale base primigenia di ciascun atto pittorico. La visione dei suoi lavori produce un rallentamento del tempo ed estrae la radice intima, il cuore e il nucleo nascosti che nei secoli hanno accompagnato la genesi del fare pittura e della sua contemplazione.
La Materia
Le forme del “quadro” si contorcono, si gonfiano, si animano sotto la propria pelle per le spinte di pulviscoli cangianti che cercano, addensandosi, la configurazione in materia colorata. Si sviluppano in tutto il loro fulgore queste piccole aurore boreali luminose e splendenti, offuscate sotto una superficie opaca, uno schermo sottile che ci separa dalla loro contemplazione totale. Sforzando e stimolando la visione immaginativa, cercano di smarcarsi dalla semplice superficie bidimensionale che il mezzo “quadro” impone loro. La materia colorata, la sostanza cromatica – splendida nelle sue tonalità metallescenti – non si fa bastare questa dimensionalità ridotta e la sua tensione vitale, quasi organica, pare voler fare pressione per qualificarsi non solo come elemento percettivo-visivo, ma dichiarare la sua presenza nel concreto dell’ambiente. Le opere annullano allora l’appiattimento canonico del supporto e si ispessiscono, producono estensioni che si modellano nello spazio, invadendo il luogo dell’osservazione.
Il colore sotto un derma semitrasparente – bianco o nero – spinge, esercita il suo stato irrequieto, l’ansia atavica di dare un ordinamento al complesso raziocinante delle visioni del pensare. Il colore rimane impercettibile come materia effettivamente concreta, ma questa volontà viene potenziata nella sua tensione costante tra essere e apparire, per il quale occorrono ora nuovi strumenti di analisi e giudizio. Anche le forme non rispecchiano compiutamente quelle di una geometria euclidea conosciuta, pur conservando un aspetto di riconoscibilità e una tracciabilità che si accosta al pieno delle nostre esperienze.
Diventa difficile stabilire una categoria per questi lavori, quelle tradizionali saltano perché incomplete: Radi si pone in un territorio ibrido in cui la materia rimane, per certi versi, latente e non espressamente dichiarata e per questo incredibilmente attiva e propositiva nel suo farsi e darsi nel mondo tangibile delle osservazioni. Prova a definirsi a tutto tondo ed esplora nuove potenzialità vicine alla scultura, come ad esempio Limite custodito del 2010: in questo lavoro il pensiero di Paolo Radi si pone all’analisi con un gradiente di oggettualità completamente differente, anche se la coerenza, che lo anima, rimane inalterata.
Le opere di Radi, solo apparentemente, paiono quindi dipinti, ma si mostrano in realtà come catalizzatori tridimensionali, contenitori di universo pronto ad esplodere a disperdersi presto nell’ambiente circostante, espandendosi in un nuovo big-beng di materia e colore riverberati nella luce.
La Luce
Un ruolo determinante lo svolge, infatti, proprio la luce che diventa presenza dinamica e visibile, concretamente verificabile in ogni opera. Si qualifica come il ponte indispensabile per creare quel legame stretto con l’ambiente circostante e le sue infinite variazioni che intervengono costantemente sull’opera, accogliendola in sviluppi e suggestioni sempre diverse. Il dialogo stretto con la luce permette a Radi di dare una vita nuova al proprio lavoro che si ri-genera nella partecipata azione di ciascun momento ad esso contingente. L’opera si è detta essere risonante e questa turbolenta, pur silente e mai chiassosa, tensione tra la moltiplicazione e la riduzione produce il dialogo con le possibili variazioni corrispondenti della luce naturale. L’apertura alla natura, per il tramite della luce, è l’anello mancante che connette al senso dell’opera
e innesca l’architettura in fieri del colore nei suoi mutevoli giochi di brillantezza e trasparenza.
I colori di Radi, che attingono dal profondo della storia, dalla radice stessa del fare arte, si fanno luminosa intonata poesia che ci conquista quasi fosse sempre stata nei luoghi della nostra esperienza. Come se la storia l’avessero scritta da sempre e la riconducessero ora al nostro presente in una a-temporalità senza vincoli attraverso lo splendere della luce. Luce che è una placenta entro la quale è concepita la vitalissima sostanza-materia colorata e sotto il cui involucro, al riparo, l’opera riesce a completare il suo sviluppo fino a farsi entità fisica davvero reale. Quando il colore, dedotto nel suo affiorare, nel tentativo di emancipare la propria cromia in un tentativo di formasi, si smarca dal fondo facendosi rivelatore di presenze prima solo latenti.
Rotto l’involucro protettivo del nulla, appare la visione, o meglio la sua ipotesi iniziale, lo stadio primo dal quale conseguirà poi il tutto, ancora amplificabile, nell’incontrato con l’esperienza di chi vede.
Paolo Radi si pone quindi oltre la pittura – intesa come gestualità creativa – e la scultura – pensata come ipotesi spaziale – per farsi presenza cognitiva. Sculture o quadri, non importa, le sue opere pongono in evidenza l’incanto che ad esse si accompagna davanti a risultati tanto complessi nella loro strutturazione conoscitiva, quanto semplici nell’approccio formale. Paolo Radi, al pari dei grandi intellettuali e dei fini pensatori, riesce a stabilire un livello primario di comunicazione: utilizzando una virtuosa espressione artistica, che non involve mai nella tautologia ermetica o nell’asserzione criptica conservando e preservando il dato fermo del suo stile. È uno stile che traduce nell’immagine dell’opera la sua intima riflessione, che si caratterizza sì per un’individualità non mai trascurabile, eppure visivamente e sensibilmente semplice nella sua complessità da rendersi luogo aperto per la condivisione di un pensiero allargato e partecipe. Il suo lavoro accoglie e fa sua, rispettandola, la sensibilità di chi osserva in tutti quei livelli di com-prensione che sono singolarmente intuibili da ciascun riguardante.
Paolo Radi ha fatto della concentrazione una virtù e una necessità irrinunciabili, modello di una contemporaneità artistica che ancora crede nel significato profondo – che ne è di fatto l’anima – del fare arte. Oggi quando tutto sembra essere contaminato e vituperato da un sistema che fomenta il desiderio di un successo tanto magnificente, quanto transitorio e aleatorio.
Cogliamo il suo spunto e suggerimento che, attraverso le sue opere, permettono di imprimere una svolta che ci fa tornare a ripensare ai canoni e all’essenza del Bello, vero trionfo per l‘Arte, da scriversi sempre, in questi casi, con la maiuscola. Prendiamoci una lunga pausa per ammirarle, respirarle, per fissare il loro fulgore annunciante e non ne saremo mai traditi. Perché l’Arte, quella vera, è davvero senza tempo.
Una pausa che avrà allora il sapore della conquista e la ragione della vittoria.
Matteo Galbiati
Aprile-Maggio 2011