MATERIE PRIME: ARTISTI ITALIANI CONTEMPORANEI TRA TERRA E LUCE

La prima questione che balza alla mente, varcando l’ingresso di una delle rocche simbolo del territorio marchigiano dopo aver percorso il lungo ponte in muratura che ha sostituito quello levatoio, è lo scopo difensivo che ha portato alla sua costruzione. La fabbricazione della fortezza, della muratura e dei cunicoli sotterranei scavati in profondità, hanno permesso all’uomo di proteggersi, di utilizzare sapientemente la materia per ripararsi dagli attacchi. Dagli elementi primari più tangibili, come la terra e il fuoco, fino a quelli più impalpabili, come l’aria e la luce, tutto è accorso per sostenerlo.
La mostra MATERIE PRIME, Artisti italiani contemporanei tra terra e luce, a cura di Francesco Tedeschi, Matteo Galbiati, Giorgio Bonomi, si lega a questa funzione con l’obiettivo di analizzare e portare avanti un percorso in cui, com’è chiaro sin dal titolo, le materie prime, appunto, sono al centro di tutto e racchiudono poesia, riflessioni, pensieri e concetti di varia natura, vivendo di una contaminazione continua tra i lavori che presentano un linguaggio ridotto al minimo nella loro concezione. Opere molto diverse tra loro, appartenenti ad artisti di differenti generazioni, abitano un luogo che si collega al tempo che lo ha trascorso e che trascorre, richiedendo un coinvolgimento totale e preciso.
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Sculture ed installazioni creano esse stesse il loro spazio e richiamano terre e paesaggi in cui dimorano con assoluto rispetto. Esclusa la figurazione, alcuni lavori sconfinano nel dipinto come l’opera di Pino Pinelli, uno dei protagonisti della pittura analitica che, sin dagli anni Settanta, si concentra sulla rottura del quadro e scandaglia tutte le sue componenti per approdare a lavori in cui la ricerca sul colore e sulla materia che interagiscono con la parete ha esiti di effetto straordinario.
Mastodontico uno dei Cementarmati di Giuseppe Uncini che, installato a muro, lascia intravedere la struttura portante tra cemento, ferro e rete metallica, pesante e concreto, grande punto fermo della mostra, materico e ponderoso. L’aria entra nel percorso espositivo con i lavori di Franco Mazzucchelli in cui le opere in plastica lasciano visibili le valvole che permettono il loro rigonfiamento, facendoci riflettere sul concetto di monumento e su ciò che, pur non visibile, ha una precisa funzione rimanendo bieca decorazione, in forte dialogo con la durezza della materia primitiva di Giuseppe Spagnulo.
La luce entra nell’arte di Grazia Varisco confondendo un pubblico che partecipa alla mutazione dell’immagine a seconda del punto di vista, per poi ritrovarsi davanti alle sculture di Carlo Bernardini create con la fibra ottica e perfettamente inserite negli spazi della Rocca, protette dalle mura che elogiano il loro brillare. Con Nunzio arriva il fuoco, la legna è bruciata e il controllo è messo alla prova durante la distruzione. Il legno è combusto e la materia diventa duttile, così come il feltro dei lavori di Paola Pezzi, sapientemente arrotolato quasi a formare un tappeto che a parete diviene un quadro colorato con forme mutevoli personalissime, né astratte né figurative.
Giocose le matite della Pezzi che ci riportano all’origine, al materiale utilizzato per costruirle, alla natura che sembra voler scrivere e, appuntita, ferire per riappropriarsi del suo mondo. Tutta la mostra, che presenta altresì i lavori di Renata Boero, Giovanni Campus, Riccardo De Marchi, Emanuela Fiorelli, Paolo Radi, Arcangelo Sassolino e Paolo Scirpa, è orchestrata da questa sorta di supremazia della natura che forgia la materia e che ha il potere di farlo, controllando un’umanità che vuole plasmarla, che con essa è abituata a giocare seriamente per rendere visibile il sentimento interiore che conduce a creare.
MILENA BECCI
alcune immagini della mostra

Video delle opere di Paolo Radi esposte in mostra