Lorenzo Respi

Paolo Radi Alzando lo sguardo


La carta è seducente. Il suo fascino discreto si nasconde tra le fibre, nei toni di colore, nell’odore inconfondibile. E’ un materiale multisensoriale che ci trasmette emozioni attraverso i cinque sensi. Passandola tra le mani si saggiano la porosità, la consistenza e la sua “pelle”; osservandola da vicino si apprezzano la tramatura, le intrusioni e le sue impercettibili variazioni cromatiche; annusandola si scoprono la lavorazione, il tempo e il suo odore. Si accartoccia e si strappa, si taglia e si piega, si incolla e si macera emettendo rumori sempre unici. Chi, infine, non ha mai ceduto alla tentazione irresistibile di assaggiarla?





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Sentire l’amaro della cellulosa o l’acido della colla? La carta è anche qualcosa di più. E’ il materiale a cui l’uomo ha affidato per secoli la trasmissione della memoria personale e collettiva, la testimonianza degli avvenimenti storici, la traccia dell’evoluzione. Di fatto la maggior parte dei documenti che hanno segnato la storia dell’umanità sono stati redatti proprio sulla carta. Oggi sono ancora leggibili, hanno resistito al tempo e sono diventati l’unico segno tangibile di un evento irripetibile e in sé concluso. Non è quindi così azzardato sostenere che nella carta è insita la nostra memoria, ovvero quel legame indissolubile tra l’uomo e il tempo. Con intelligenza e spiccata sensibilità Paolo Radi ha capito queste enormi potenzialità della carta, assimilandole nel suo codice espressivo ed elaborandole in modo assolutamente personale sul piano percettivo e tattile. Per Radi la scoperta della carta non è né una conquista recente, né un diversivo per rinnovare abilmente il proprio linguaggio, caratterizzato nell’ultimo decennio dall’uso del perspex, del pvc e della gomma siliconica. Non aggiunge un nuovo materiale. Anzi, ritorna alle sue origini di artista visivo. Recupera quel materiale tradizionale che lo ha sempre affascinato e accompagnato, quasi in sordina, nella sua ventennale carriera. E’ un atto consapevole di richiamo alla memoria, un avvicinarsi all’essenza stessa della carta. E’ infatti il 1992 quando Radi presenta a Palazzo delle Esposizioni di Roma i primi acquerelli su carta, che aprono il percorso di ricerca verso una progressiva ri‐strutturazione delle superfici bidimensionali in tre dimensioni. La costruzione di un nuovo spazio aggettante, che ha origine dal piano, allontana progressivamente l’artista dalla pittura tradizionale spingendolo verso la conquista della plasticità tipica della scultura. Radi riscopre il rapporto fisico con la materia, il piacere di amalgamare l’impasto umido e di stirare i fogli con le proprie mani. Fonde la tradizione della bottega artigiana con gli stilemi della sua “maniera” espressiva. In quest’ottica, la carta fatta a mano non è più un semplice medium, ma diventa una pre‐scultura informe perché è il prodotto ‐ materiale e al tempo stesso intellettuale ‐ di una sapiente lavorazione che nella sua forma finita contribuisce a costruire il significato tangibile del lavoro dell’artista. Un ulteriore passaggio creativo definisce la composizione dell’opera: agendo sui piani e sulla luce naturale, Radi sovrappone le superfici in polimeri e le carte alle immagini ritrovate, alle fotografie personali, ai testi salvati dal tempo, ottenendo come risultato complessivo un’opera armonica e ponderata, tonale e intimista. Radi è, paradossalmente, un artista rinascimentale. Nel suo modo di lavorare si nascondono le tracce della grande tradizione pittorica toscana, si scoprono l’interesse per l’uomo‐individuo e lo studio della sua storia, si avverte il piacere per l’osservazione dei fenomeni naturali e delle leggi che li regolano. Innanzitutto il suo legame con la materia è alchemico: Radi non si limita a usare la materia, la crea. La materia prevalente in queste opere inedite ‐ la carta ‐ viene impastata direttamente dalla manualità dell’artista; è un pre‐materiale, pensato e prodotto per rispondere al meglio alle esigenze della sua creatività. Infatti non utilizza carte già esistenti, ma realizza la “sua” variante, quella più adatta a dare forma alla “sua” sostanza mentale, l’idea di arte. Radi agisce da vero e proprio demiurgo: dà corpo a una massa informe che, plasmata e lavorata, diventa l’incipit e al tempo stesso il supporto fisico per l’opera finita. Il processo conferisce un valore marcatamente simbolico, alchemico, al materiale e alla tecnica per il legame di stretta dipendenza con il suo creatore. Ancora più sottile e sottointeso è il filo rosso che dalla pittura rinascimentale italiana arriva a Radi. Mi riferisco in particolare a quella conquista ottica e compositiva che ha rivoluzionato per sempre il modo di fare e guardare l’arte dopo il Quattrocento: la prospettiva. Per la prima volta nella storia delle arti l’uomo del Rinascimento applica le regole della geometria alla rappresentazione della realtà e alla costruzione di una civiltà più razionale che aspiri al progresso e alla perfezione. Un ottimismo nel futuro e nelle capacità umane che ha fatto di quel secolo un riferimento imprescindibile per l’evoluzione dell’arte universale. Ma cos’è la prospettiva di Radi? Per Radi la prospettiva va intesa in senso umanistico, come trascrizione in termini geometrici di un’idea astratta, di per sé non rappresentabile, ma che ha l’urgenza di prendere forma concreta, visibile, per poter essere percepita dallo spettatore e per comunicargli esplicitamente il suo contenuto. Ecco quindi che le sovrapposizioni dei piani, la stratificazione delle membrane, l’opacità e la trasparenza dei materiali, l’orientamento della luce sono tutti fattori inter‐attivi che concorrono a oltrepassare la bidimensionalità dell’opera a parete e a dare profondità all’immagine. Ripercorrendo l’ordine dei piani visivi (prospettici) e interpretando la successione dei livelli dal fondale ‐ spesso invisibile ‐ al primo piano, si arriva a ricostruire l’arte combinatoria dell’artista che ci accompagna a cogliere il significato dell’opera. Ogni opera racconta un’esperienza unica, è un palinsesto della memoria tracciato a ritroso sulla carta. Il procedimento per stesure successive è sia la sintassi del linguaggio di Radi sia la chiave di lettura del suo modo di intendere la prospettiva oggi: una prospettiva attiva e critica, consapevole della tradizione e testimone della storia. Nei lavori più recenti di Radi prevale sempre l’aniconismo delle superfici, trattate con gomme siliconiche opache e polimeri traslucidi, dentro le quali si celano sottotraccia forme primarie quasi impercettibili. La ricerca dell’equilibrio compositivo è rafforzata dall’uso controllato della luce, filtrata e rifratta dalla densità dei materiali e dalle leggere patinature di colore, che la imprigionano nelle strutture aggettanti animandole con un alone raggiante diffuso. Il lirismo tonale trasforma la visione di un lavoro di Radi in un esercizio quasi spirituale. L’oggetto o il soggetto ‐ che in queste opere convergono nella ricerca formale ‐ resta inafferrabile, si intuisce sotto la pelle ma non si manifesta mai interamente. Però nelle carte realizzate per la mostra da Annamarracontemporanea accade qualcosa di nuovo, di inaspettato. Il linguaggio aniconico di Radi subisce un’evoluzione in senso opposto, iconico: tra le pellicole in silicone e i fogli di carta compaiono immagini, fotografie e scritte, ben visibili e identificabili. All’improvviso tutto diventa più leggibile, all’improvviso il messaggio dell’opera diventa comprensibile. Cosa è successo? Fedele all’uso “umanista” della prospettiva, Radi carica di significato storico e di valore civile la successione dei piani sulla superficie: ogni strato è la testimonianza di un fatto accaduto, è il tassello di un racconto, la cui memoria può rivivere solo grazie a questa sovrapposizione fisica extratemporale che suggerisce una rilettura critica degli eventi ricordati. Il passaggio avviene in modo naturale, spontaneo, grazie a una semplice azione quotidiana. Camminando per i vicoli dell’ex ghetto ebraico di Roma e guardandosi intorno per cogliere le suggestioni del luogo, Radi inconsciamente alza lo sguardo verso l’alto, verso i tetti delle case che ritagliano squarci di cielo profondi. L’azione di alzare lo sguardo acquista una forza dirompente: oltre a permettere di osservare il quartiere da una nuova prospettiva e da un punto di vista inusuale, l’atto di alzare lo sguardo diventa la metafora involontaria della presa di coscienza di un passato doloroso e della determinazione dell’artista ad affrontarlo misurandosi con la memoria. Agli occhi di Radi gli edifici, le strade e le scritte sono la testimonianza reale di una tragedia lontana nel tempo, ma ancora viva nel ricordo di molte persone. D’istinto scatta alcune fotografie da sottoinsù, istantanee di un’esperienza personale dedotta dal passato ma introiettata nel presente, che diventano il materiale ‐ e la materia ‐ di lavoro per realizzare questa serie di carte inedite. Radi va alla ricerca dei fotogrammi della storia, dei testi e delle fonti sulla persecuzione ebraica, dei simboli religiosi e delle testimonianze mute della follia causata dall’odio antisemita, e con essi intesse diligentemente, per sovrapposizioni e velature, la sua personale narrazione di un capitolo luttuoso della storia del Novecento. La memoria diventa la protagonista silenziosa delle superfici cartacee che si animano di volti e di parole, fissate e protette dalle sottili pellicole in gomma siliconica: il filtro del tempo si materializza nella densità e nell’opacità dei materiali sintetici, che si interpongono tra le immagini e le carte. L’intera composizione acquisisce il tono uniforme della patina del tempo e l’opera rimane sospesa in un eterno presente. Radi compie un passo avanti sostanziale nel suo percorso artistico: esce dalla sua “pelle”, va oltre la superficialità della materia, sfonda quella membrana esterna che ha sempre imprigionato e seminascosto alla nostra vista le sue forme impedendone la piena percezione. Radi supera il confine tra soggetto e oggetto, infonde coscienza critica e espressività allo stato fisico della carta, attualizza e rappresenta geometricamente la memoria. Questo nuovo procedimento creativo si può definire vvero a c ’ t t “prospettiva della memoria”, o lrievoazione e linterpreazione di un fato accaduto per mezzo della sua rappresentazione per piani geometrici. Questo passaggio intellettuale molto sottile e delicato si legge anche nei titoli delle carte. Varco segna l’inizio di questo cambiamento di prospettiva. E’ l’istantanea dell’azione di Radi di alzare lo sguardo: lo scatto di un ritaglio di cielo del ghetto, virato in seppia e stampato su gomma siliconica, non mostra solo lo squarcio che si apre tra gli edifici del quartiere ma allude anche alla tensione ad andare oltre per conoscere, ad aprire appunto un varco nella memoria. Ecco quindi la carta Testa cielo, sintesi verbale e visiva di questa corrispondenza tra la razionalità e la memoria (testa) e lo stimolo alla riflessione (cielo). La fotografia del ghetto si scurisce, il dato di realtà quasi scompare, una macchia di colore bianco irrompe nello squarcio di cielo e deborda sulla carta coprendo un volto umano evanescente. In secondo piano si intravvedono le carte e i frammenti di manoscritti. Siamo di fronte all’uso della “prospettiva della memoria”. Radi continua nella sua ricerca, scava nella memoria e nella storia di un popolo, per comprendere le origini di una cultura millenaria vittima dell’ignoranza. Nasce così Sorgente, simbolo della conoscenza e della consapevolezza, in cui una lastra in polimero custodisce alcune pagine del Pentateuco e la stilizzazione di una Menorah. L’approccio di Radi alla storia è quasi filologico. Lo si vede chiaramente in un’altra carta, Respiro: sullo sfondo, lo sviluppo di una grande busta aperta rivela al suo interno la pagina di un testo sacro in lingua ebraica; e in primo piano, ancora la lastra in silicone che preserva e tramanda la memoria della carta. La scientificità del processo conoscitivo si scontra inevitabilmente con l’idiozia dell’antisemitismo. In Ottobre irrompe prepotentemente sul foglio la realtà del dramma collettivo, lo sterminio sistematico degli ebrei. Qui la “prospettiva della memoria” sovrappone su piani successivi le cause e gli effetti delle leggi razziali, la follia e il dolore, il passato e il presente. Osservando la scansione delle superfici in profondità, il contrasto tra i piani è netto: in primo piano il frontespizio di “Razza e Civiltà” marchia una schiera di deportati in un campo di concentramento, mentre dal fondo del foglio una forma geometrica dorata e luminosa avanza, tenta di emergere dietro all’immagine di questi cadaveri viventi, come se volesse offrire loro una speranza di salvezza. La suggestione è forte, perché l’accostamento delle immagini e delle parole ha evidentemente un fine civile, di aperta condanna all’intolleranza. Le razze biologiche non esistono, esistono solo i popoli, le etnie, che si distinguono tra loro per usi e costumi, tradizioni e storia. Tutto il resto è ignoranza. Eco racconta proprio questo: la fotografia di persone comuni che vivono nel ghetto, che scrivono i propri pensieri sui fogli di quaderno, che sono orgogliosi di tramandare la cultura del loro popolo. Risulta ora più evidente in che modo Radi ha sfondato il perspex e alzato il sipario sull’intimità del suo lavoro e sulla radice del suo pensiero. Già nell’immediato futuro il linguaggio di Paolo Radi avrà notevoli potenzialità di sviluppo. Infatti la ricerca ossessiva della perfezione formale non cede ‐ e non ha mai ceduto ‐ alle lusinghe del puro formalismo, a quel decorativismo edonistico che soddisfa soltanto il piacere dell’occhio e delude l’animo; al contrario la cura per il dettaglio si evolve continuamente esplorando nuovi campi di ricerca sempre più complessi e sconosciuti al suo orizzonte ulturale. La forza dell’opera di Radi è indubbiamente la coerenza, espressiva e stilistica, che o mette al riparo dalle mode e lo fa sedere da spettatore privilegiato nel teatro del mondo.
Lorenzo Respi testo pubblicato in occasione della mostra personale presso la galleria Anna Marra Contemporanea di Roma nel 2013


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