Alessio Verzenassi: Paolo Radi, del fare e del silenzio

Aspetti pratici nel percorso creativo di Paolo Radi:
idea, prototipo e compilazione dell’opera



La mentalità interdisciplinare di questo artista si manifesta nel corpo stratificato di una ricerca che, oltre ad avere un’accentuata attitudine al pensiero, ricorre fortemente alle caratteristiche naturali dei materiali costitutivi adoperati. Né scultura né pittura o entrambi con estensione ad altre disciplinei, consideriamo perciò l’arte di Radi come documento, anche, di un pronunciato interesse per la materia, passionalmente, per la manipolazione fisica degli elementi costitutivi, i quali vanno a rispecchiare, oltre ad un chiaro valore ideale, un preciso intento corporale capace d’istituire la fisionomia concreta ad un elenco articolato di processi, sia aleatori, sia meccanici. Così, in un destino tutt’altro che anarchico, la sua opera prima di assumere definizione segue alcune procedure operative fondate, inizialmente, su accurate osservazioni grafiche preliminariii, in modo che lo studio del linguaggio artistico, in anticipo sull’aspetto ufficialeiii, prenda senso e applicazione nella piana di un semplice taccuino privato. Un assieme di fogli inteso proprio come supporto di idee, appunti affiancati da misurazioni preventive, da chiaroscuri su sagome primigenie, talvolta aiutate da precisazioni di diversa natura e da una segnaletica comoda poiché funzionale e mai illogica. Saltuariamente datate, queste carte spiegano, appunto con fare asciutto, metodico e disadorno, le caratteristiche formali e la meccanica del prototipo artistico ancora in gestazione. Con tale laica organizzazione di premesse, Radi costituisce un prammatico catasto d’indizi e riflessioni, banca dati necessaria per lo sviluppo conclusivo di un manufatto eclettico che, una volta ultimato, appare dunque difficilmente collocabile entro una griglia tassonomica recintata e rigidamente intesaiv. Ma senza declassamento alcuno, però; una mancata classificazione non comporta nessun detrimento poetico dell’opera, chiaramente, soprattutto se la valutazione di una ricerca scaturisce dall’acume linguistico del progetto, piuttosto che dalla necessità mentale di una definizione netta e accomodante dello stesso. La liturgia procedurale, allora, incede austera, lenta e rigorosa: di seguito alle iniziali indagini grafiche poc’anzi osservate, quelle utili per l’impostazione mentale dell’elaborato, s’accoda un’altro passaggio inevitabile, in quanto fondante la caratterizzazione connotativa e vettoriale dell’opera in corso: scelta, posologia e amministrazione dei materiali. Naturalmente indispensabili per il costrutto artistico dell’autore, che si smista fisicamente su due distinti livelli e di conseguenza ha una stesura strutturale plurima e stratificata. Come per una parete palinsesto, dunque, forme sotto con forme sopra e dalla loro addizione, o meglio dalla fusione, scaturisce il referto estetico e il significante. O in termini succinti, l’operav. Che ha nel suo strato più profondo, arretrato, un volume ricavato dalla lavorazione del legno, una scultura semiconica in altorilievo, minimale, pertanto di semplice aspetto ma non figurativa in senso naturalistico, perlopiù installata su un supporto di tavolavi che ne garantisce, anche, una statica sicura. Tali corpi hanno profili allusivi, aperti e curvati, capaci di determinare morbide volumetrie inusuali, spesso scialbate di acrilico bianco, saltuariamente avvolte in un oro che approvvigiona di continuo lo stato insoluto e il senso di ammanco. A questi aggetti di materiale organico in digiuno iconografico, poi l’artista addiziona i suoi caratteristici veli di superficie che, intesi proprio come scudi paraprimarivii, costituiscono lo strato fisicamente più prossimo all’occhio dell’astante, il più svelato e conciò a diretto contatto ambientale: perché la costruzione funzioni e dunque perché l’opera abbia senso, questa pelle deve avere la prerogativa della trasparenza. Che però non sia assoluta e cristallina; e questo è un punto nodale: infatti, senza imperio emerge il corpo sottostante, in modo indefinito, equivoco, la nettezza dei bordi abbisogna dell’interdizione necessaria per un’apparizione appena accennata, stentata, esitante e di contro mai lapidaria, assolutamente mai lapidaria. Il plexiglas, come il vetro acidatoviii, sembrano dunque perfetti interpreti di tale esigenza, materiali inerti, sintetici e anaffettivi, che vanno per cui a sbiadire il nitore della creazione lignea che vi è sotto, nel sostrato, confondendola ma non per questo abbattendone la presenza: il rovello artistico di Paolo Radi è incentrato così sulla rendita ottica e concettuale di una percezione spossata, labile, annebbiata poiché imprecisa, extratemporale ma al contempo stentorea nella capacità comunicativa. Come visto, dalla manipolazione di due superfici sovrapposte ma entrambe acclarate, l’artista suscita l’opera definitiva, ufficiale, che per aspetto e riflessione manifesta un’aliquota d’interesse, rovistando tra gli estesissimi fatti della storia dell’arte recentemente trascorsa, per alcuni lavori svolti tra gli anni ’60 e parte della decade successiva del secolo addietro. Il riferimento si rivolge, nello specifico, a quel novero di artisti che videro nella ricerca di Lucio Fontana l’esempio cui guardare, nello spazialismo l’esperienza cui attingereix: malgrado la cronologica separazione generazionale, il colloquio tra Radi e quella sponda di arte italiana appare plausibile e comprovato da una fila di rilevamenti scientificix. L’accostamento riguarda, pertanto, autori le cui opere tendono all’oggettuale, alla modulazione della superficie, ove la lavorazione per aggetti ha il fine di captare l’ambiente, lo spazio, la luce e la varietà delle proprie modificazioni sensibili. In questa ottica hanno senso certi elaborati di Piero Manzoni, che per alcuni versi possono annettersi ad una linea spazialista, anche se poi l’autore tenderà all’ispezione formale di nuovi valori noetici; inoltre Enrico Castellani, in quegli stessi anni, manifesta una particolare attenzione per il riverbero luminoso evinto dalla manomissione della tela in sporgenze multiple. Così come Agostino Bonalumi con le proprie tridimensionalità ambigue, ingannevoli e refrattarie ad un’unica, categorica lettura; anche l’opera giovanile di Paolo Scheggi, proprio perché edificata su stratificazioni complesse, può congiungersi con coerenza al novero di sopraxi. Ma la lista deve necessariamente estendersi anche ad altri maestri, magari ancor più lontani nell’anagrafe ma le cui opere, pur non manifestando strettissime analogie formali con quelle del nostro artista, sviluppano simili stati mentali per simili esigenze di sensistica e cognitiva. In questa logica il nesso approfitta di Malevic e del suo riformatorio artistico, completamente teso alla soppressione dei sistemi narrativi chiassosi e convulsixii; così come approfitta anche di Rothko, per la sua inclinazione ad una spazialità sviluppata per campi tonali essenziali ma quiescenti e sospesi per mancato nitorexiii. Se l’elenco di tutti questi artisti spiega e ammette l’importanza interlocutoria tra Radi e la storiaxiv, ove la dialettica non comporta il dolo d’omologia e copia di un trascorso importante, di pari rilievo risultano anche le sue autonome peculiarità linguistiche, indipendenti sia dalla maternità storiografica, sia dalle ingerenze e disservizi dell’attuale cultura dominantexv. La quale, in un momento di evidente insistenza tautologicaxvi, delega il proprio ruolo a discipline iconofile incapaci di mostrarsi scollate da interessi di cosmesi artistica e comunicazione di massa. Un intento che però non colpisce la rettitudine di Radi, che aerostato sorvola su tutta la gamma ammiccante dei facili consensi, per attestarsi nella coerente posizione di sé stesso, poiché la primaria ed intima importanza dell’identità, è nella sua opera un elemento alto e necessario. Nessuna vocazione al dissenso ma nessun governo conveniente, per cui; bensì il compito di stilare una ricerca che promuova il silenzio, la riflessione, la reversibilità delle cose e degli atti, metafisicamente. Proprio perché questi progetti applicati si piantano nella più scaltra terra di mezzo, istmo collocato fra onnipresenza e suo converso: mediante alcune meccaniche di un ordine segreto, l’autore modella il corpo a forme senza data e senza orlo, organizzando così un’arte basata su ragionamenti ma sviluppata per fatti.
Alessio Verzenassi

i Sul piano formale l’opera di Paolo Radi manifesta particolari contatti col mondo del design ma con estensioni anche nel campo della sensistica e della cognitiva.
ii Sull’argomento vedi infra immagine pag.
iii Vedi immagine bandella di quarta.
iv Vedi infra n.1.
v Volendo esemplificare in una tassonomia riduttiva, la produzione artistica di Paolo Radi si suddivide in: opere su carte, installazioni, sculture e sculture a parete. Quest’ultime costituiscono il novero numericamente più cospicuo ed è la tipologia cui si riferisce il testo in questa circostanza. Cfr. AA.VV, Paolo Radi. Corporeo silenzio, Edizioni Il Bulino, Roma 2005.
vi In relazione alle sculture a parete.
vii ALESSIO VERZENASSI, T.E.C. Le tecniche esecutive dell’arte contemporanea, Manuela Annibali, Alessio Verzenassi (a cura di), cat. mostra Scuderie Aldobrandini, 4 giugno-17 luglio, Frascati (Rm), pp.54-55; 62-63.
viii Nelle opere cartacee le trasparenze e gli aggetti sono spesso ricavati mediante l’utilizzo del silicone.
ix Sull’argomento cfr. GILLO DORFLES, ULTIME TENDENZE DELL’ARTE D’OGGI. Dall’Informale al Neo-oggettuale, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1999, pp.75-77.
x Sull’argomento cfr. AA.VV., Lucio Fontana e la sua eredità, Silvia Pegoraro (a cura di), cat. mostra Castel Basso (Teramo), Luglio 2005, Skira editore, Ginevra-Milano 2005.
xi La lista può essere estesa a tantissimi altri artisti del periodo indicato, ma per motivi di spazio ci si è arrestati ai più coerenti rispetto al parallelo con l’opera di Paolo Radi.
xii Sull’argomento cfr. AA.VV., Storia dell’Arte Contemporanea, Giovanna Bergamaschi (a cura di), Maurizio Calvesi (coordinamento), Gruppo Editoriale Fabbri, Milano 1991, pp.214-219.
xiii Sull’argomento cfr. ROBERTO PASINI, L’INFORMALE. Stati Uniti Europa Italia, CLUEB, Bologna 2003, pp. 121-131.
xiv Vedi infra n..9.
xv Sull’argomento cfr. GIANNI VATTIMO, La fine della modernità, Garzanti Editore, Milano 1998; JEAN-FRANCOIS LYOTARD, La condizione postmoderna, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2004; ENRICO CRISPOLTI, COME STUDIARE L’ARTE CONTEMPORANEA, Donzelli editore, Roma 2005, pp.193-219.
xvi Sull’argomento cfr. AA. VV., ARTE CONTEMPORANEA le ricerche internazionali dalla fine degli anni ’50 a oggi, Francesco Poli (a cura di), Mondatori-Electa, Milano 2005, pp.222-348.